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“Il tempo nello sviluppo” secondo Emanuela…

Dopo aver esplorato il processo di selezione, continuiamo il nostro viaggio alla scoperta del senso che Emanuela Del Pianto attribuiva alla dimensione “tempo”, focalizzandoci sul processo di sviluppo.


Il tempo nei processi di sviluppo


Nel termine “sviluppo” è intrinseco un concetto di cambiamento e, quindi, di evoluzione, che deve accompagnare, in tutto il percorso sequenziale del processo, sia il “beneficiario” che il “facilitatore”.



Il tempo del facilitatore


Quest’appellativo nasce dalla precisa convinzione che il ruolo di chi si occupa di sviluppo e magari opera attraverso la metodologia del Development Center*, deve essere quello di un facilitatore del processo di apprendimento, che ha come meta l’evoluzione dell’altro. Quindi, non si tratta né di un valutatore puro, né di un formatore, né di una qualunque professionalità dai contorni così netti, ma di un ruolo che, per dirla in termini socratici, utilizza tra l’altro la maieutica, la consulenza, la formazione e la valutazione come modalità di interazione, ma sempre e soltanto in un’ottica di sviluppo.

Per esempio, nell’ambito di un Assessment Center* come metodo di valutazione del potenziale finalizzato allo sviluppo, nella prima fase, quella diagnostica, il facilitatore assume le sembianze del valutatore, ma con la progettualità di una fase orientativa durante i colloqui di feedback, dove per l’appunto diventa un facilitatore.


Il tempo oggettivo del processo di sviluppo, è un tempo strutturato che si articola in fasi predeterminate, anche se poi, in corso d’opera, strumenti e dinamiche possono flessibilizzarsi a seconda delle necessità delle persone.

Se prendiamo come scenario di sviluppo il Development Center, o un Assessment finalizzato allo sviluppo, il facilitatore opera non solo con il singolo, ma anche con un gruppo, e questo incide sia sul suo tempo soggettivo, sia sul tempo richiestogli dai singoli e dal gruppo.


Il facilitatore prova una percezione di contemporaneità d’azione, come se lavorasse con i due emisferi del cervello uniti ed integrati, sensazioni e logica diventano un tutt’uno, che si traduce in un ascolto attivo ed emotivo che capta e restituisce ridefinendo ciò che ha captato, in termini di attitudini trasversali attuali e potenziali.

Nel caso di un Assessment, ciò avviene durante il colloquio di feedback, mentre nel caso di un Development, durante le sessioni di confronto che seguono le esercitazioni e gli allenamenti. Mi viene in mente la metafora di una capriola che si fa dentro l’acqua del mare, che esprime una contemporaneità di stato e di movimento: lo stato è l’immersione nell’acqua e, dunque, l’ascolto attivo ed emotivo; il movimento è la capriola e, dunque, la restituzione ridefinita delle attitudini trasversali, attuali e potenziali.


Facendo un confronto tra selezionatore e facilitatore, la dimensione temporale soggettiva del secondo si trova a dover “giocare” con una maggiore complessità, che scaturisce dalla contemporaneità e dalla maggiore interazione con gli individui e con i gruppi di riferimento. Quindi, in sintesi, se fossimo a carnevale, potremmo travestire il selezionatore da “palombaro” e il facilitatore da “ginnasta subacqueo”.


Il tempo del beneficiario


Se ora ci spostiamo a considerare la percezione del tempo soggettivo di chi sta intraprendendo il percorso di sviluppo, troviamo uno stato d’animo diverso da quello percepito da un candidato in selezione. Addirittura, è probabile che ci sia un’ulteriore differenza tra la percezione di chi sta vivendo un Assessment finalizzato allo sviluppo e quella di chi sta vivendo un percorso di Development Center.


Nel primo caso, infatti, il feedback è collocato in una fase temporale oggettiva che si trova a conclusione dell’intero processo. È l’ultimo atto di una "pièce" che ha visto alternarsi la fase diagnostica e quella di tutto il back-office, che porta alla stesura del profilo**.


Il tempo dell’attesa di chi vive l’esperienza è un mix di curiosità, preoccupazione, supposizione, che genera, al momento dell’ingresso nella stanza dove si terrà il colloquio, uno stato d’animo di ansia, ma nel contempo di ascolto proattivo, come di chi ha percorso un tunnel oscuro, ma comincia ad intravedere i bagliori della luce. Mentre si svolge il colloquio di feedback, la luce è completa e scandisce il ritorno al presente, attraverso il rispecchiamento che il facilitatore fornisce alla persona. Non sempre il rispecchiamento è completamente positivo, ma può succedere che sia intriso, a sua volta, di luci e di ombre. Ma, se il facilitatore si propone come un counselor, la percezione del tempo soggettivo non rimane ancorata al passato e l’ombra del presente viene percepita come la luce del futuro.


Nel caso, invece, che la persona si trovi a vivere l’esperienza di un Development Center, l’allenamento ad accettare luci e ombre di sé è piuttosto continuo, a causa dei molti feedback che si ricevono durante il percorso. Quindi, superato il primo momento del nuovo che non si conosce, in cui ansia e preoccupazione, ma anche curiosità e desiderio, sono gli ingredienti di quello stato d’animo, subentra l’interiorizzazione del dipanarsi del tempo, percepito come una naturale alternanza di luci e di ombre, esattamente come quando fa buio sappiamo che, al mattino dopo, ogni cosa è illuminata. È come se, presente e futuro fossero vissuti nella loro naturale consequenzialità, come una spirale il cui movimento rotatorio costituisce la spinta propulsiva verso l’alto.


Il successo di questa dinamicità, per chi vive l’esperienza del percorso di sviluppo, è direttamente proporzionale all’efficacia della competenza e della prestazione del facilitatore, che è come un direttore d’orchestra, dai movimenti del quale dipende il movimento armonico delle note impresse da chi suona.


Quando lo sviluppo approda alla meta dell’inserimento in un ruolo di maggiore responsabilità, la percezione del tempo soggettivo di chi vive questo nuovo stato è ancora diversa. In un certo senso simile a quella del candidato che ha avuto la fortuna dell’ingaggio, ma con una sfumatura di maggiore consapevolezza della nuova e accresciuta responsabilità che deve assumere. Lo stato d’animo diventa “…chissà se ce la farò”, ma soprattutto “…chissà se mi apprezzeranno, …chissà se mi muoverò bene, chissà, chissà, chissà....”


Dubbi, desideri, iniziativa, energia, sono alcuni degli ingredienti che sembrano dilatare un tempo soggettivo che, invece di una sequenza di attimi, come nel caso della selezione, diventa come la proiezione di una sequenza di immagini di un film di fantascienza.


Ecco in agguato, di nuovo, il futuro, promosso dall’emozione della paura, che offusca il presente riducendone l’esperienza. Se però subentra la consapevolezza di questo “agguato”, ecco che concentrazione, possibilità ed energia aiutano e fanno sì che i “Piccoli Manager crescano”.


Attraverso le parole di Emanuela, il tempo acquista significati diversi in base alle dimensioni e agli attori coinvolti. Questo può ampliare lo spettro della nostra realtà, osservata da angolazioni diverse.

Nel prossimo articolo esploreremo il tempo nella formazione.


*Per un approfondimento sul tema dell’Assessment e del Development Center si rimanda all’edizione ampliata di Assessment Center (Del Pianto, 2004).

**Per una descrizione dettagliata delle fasi del processo di selezione, si rimanda al testo Il processo di selezione e valutazione del potenziale (Del Pianto, 2008).

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