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“Il tempo nella formazione” secondo Emanuela…

Le riflessioni di Emanuela proseguono e continuano a regalarci l’opportunità di immergerci in nuove consapevolezze svelate. Continuiamo il nostro viaggio alla scoperta del senso che Emanuela Del Pianto attribuiva alla dimensione “tempo”, focalizzandoci sul percorso di formazione.


Il tempo nella formazione


Anche il campo della formazione presuppone che ci sia un processo articolato in più fasi, che sono regolate da una struttura molto ben delineata. Ogni fase è rigorosamente propedeutica all’altra e, quindi, il mancato approfondimento anche di una sola di esse, può pregiudicare l’intero processo.


La dimensione temporale oggettiva del processo si può individuare in ogni fase, anche se diventa, come vedremo, più vincolante nella fase dell’erogazione. È questa, infatti, che scandisce i tempi anche delle precedenti, nel senso che la committenza esplicita un’esigenza e la colloca in una precisa cadenza temporale, dal punto di vista attuativo. Dunque, per poterla realizzare come richiesto, il consulente esterno o il formatore interno, deve procedere dandosi delle scadenze ben precise.

Analisi della domanda


Nella prima fase, quella dell’analisi della domanda, l’obiettivo fondamentale è quello di riuscire ad avere tutte le informazioni dal committente, inerenti all’attività formativa che intende attuare. È come se si aprisse una cassaforte per depositare al suo interno un tesoro, che può essere ben conservato e ripreso all’occorrenza, con una combinazione di apertura che solo noi e il committente conosciamo.

Va da sé che il vincolo temporale diventa quello di un’attenta e accurata indagine che, sola, potrà produrre la combinazione vincente.


Progettazione


La seconda fase, cioè quella della progettazione, corrisponde al tesoro che abbiamo depositato nella cassaforte. Lo dobbiamo aprire con cura, esaminando le pietre preziose delle quali è composto, per arrivare ad assemblarle in modo armonico.

Il tempo oggettivo è quello che occorre per fare tutto ciò e, uscendo dalla metafora, per l’approfondimento, l’accuratezza e la sostanza, ma anche la leggerezza e la duttilità, di un’efficace pre-visione che, sola, può garantire un’efficace realizzazione.

Occorre tempo per gli approfondimenti bibliografici, per rintracciare i modelli teorici di riferimento rispetto ai contenuti, per pensare agli strumenti da trasmettere e, infine, per concentrarsi sulla parte esperienziale e, quindi, su quali esercitazioni e come strutturarle. È evidente che tutto ciò richiede il tempo di cui necessita il formatore, anche in relazione al suo livello di esperienza e competenza.


E non è finita qui perché, successivamente, occorre formulare la micro-progettazione, che sarà la traccia dettagliata di come si articoleranno le giornate d’aula, con particolare riguardo alla scansione temporale di ogni attività. Questa operazione richiede anch’essa un tempo, che serve, paradossalmente, a strutturare, in termini di tempo, ciò che è potenziale, ma non ancora reale.


Erogazione


Nella terza fase, cioè quella dell’erogazione, è importante riuscire a trattare tutto ciò che è stato previsto nella fase precedente, senza però cadere nella trappola di farsi gestire dalla tecnicalità e dal “tempo”, ma tenerne noi in mano le redini, facendoci guidare dalle istanze implicite ed esplicite dei partecipanti e dal processo di apprendimento dei singoli e del gruppo.


I tempi del processo di apprendimento sono assolutamente soggettivi.

Ognuno ha i suoi e deve essere cura del formatore non sottovalutarne o tradirne alcuno, cercando però di coniugare la lentezza di alcuni con la velocità di altri, senza che si crei disagio o noia per nessuno. E questo è un esempio di tempo soggettivo dell’altro, che deve trasformarsi in tempo oggettivo per il conduttore, passando però attraverso i canali della sua percezione, del suo ascolto profondo, del suo intuito e, dunque, della sua soggettività.


L’esperienza mi ha insegnato che la consapevolezza dei partecipanti in aula matura, fondamentalmente, nel qui e ora, quindi le simulazioni, i giochi di ruolo, ecc... devono diventare una simulazione della vita. Una sequenza di attimi, che è importante imparare a vivere, per poi saperli leggere.

La tentazione di un ritorno al passato e, quindi, alle sue rabbie o alle sue delusioni, o di un salto nel futuro che nega la realtà, o meglio la traduce da un sogno, è molto forte per chi è seduto in aula. Perché è questo lo schema all’interno del quale si è abituato a convivere. Di fronte alle difficoltà, e forse da tempo immemorabile, ha sempre reagito così. È l’unica strada che conosce. È compito del formatore, indicargliene altre attraverso un repertorio di strumenti e la scelta di quello più adatto, per poterlo aiutare a tornare nel presente, senza sottrarsi alla responsabilità che questo stato propone. Nel presente, il disagio sparisce, tutto diventa possibile, perché si sdrammatizza e le simulazioni, le esercitazioni in genere, aiutano ad assaporare la pienezza e la ricchezza del vivere che da possibilità diventa realtà.


È il tempo di adesso, che per il partecipante deve diventare oggettivo e per il formatore, invece, è completamente nelle mani e nel cuore della sua soggettività.

Al di là di contenuti e modelli, lui può aiutare ognuno ad assecondare la propria frequenza e vibrazione di vita in quel momento e farlo diventare un momento speciale e, soprattutto, fare capire che anche il momento dopo lo è, e anche il momento dopo ancora. Ma se lo si pensa prima, non è la stessa cosa, è il sentire la cosa che accade, nel momento che accade, che fa la differenza.


A questo punto la realtà viene percepita in modo diverso, affiorano gli strumenti all’interno di sé e si pone fine alla ricerca frenetica e inutile, di qualcosa di miracoloso all’esterno di sé.


Anche il tempo dedicato alla formazione ha trovato una sua dimensione nelle riflessioni in cui Emanuela ci ha accompagnato. Rimane un ultimo articolo, in cui esploreremo il tempo nello scenario dedicato alla verifica e valutazione dei risultati.

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